“Dottore, ho letto che il vino fa bene al mio cuore e sistema circolatorio! Perché allora non può fare bene al mio fegato ?”

Quante volte i medici di base si sono sentiti rivolgere questa domanda. Far capire al proprio interlocutore che il problema sta nella quantità diventa un’impresa, specie se per il personaggio che si ha davanti un litro di vino al giorno è la normalità.
La letteratura recente ha confermato alcuni effetti benefici dell’alcol; modeste quantità d’alcol, infatti, in particolare di vino assunte durante i pasti sembrano influenzare favorevolmente le funzioni digestive con un miglioramento delle attività secretive ed aumento dell’appetito. Sembra inoltre avere un azione preventiva nei confronti dell’aterosclerosi e dell’infarto miocardio che si deducono soprattutto dallo studio” Framingham”, uno studio di coorte iniziato nei primi anni ’50, in una cittadina del Massachusetts, USA (appunto Framingham) e che continua tuttora.
Inoltre, visto il suo potere antiossidante, piccole quantità di vino rosso aiuterebbero nella prevenzione del cancro della prostata, non ci sono dubbi però che tutti questi effetti si riferiscono ad un uso molto modesto di bevande alcoliche.
Veniamo così alla difficile definizione di dose minima che tanto ci assilla di questi tempi, tale dose sembra trovare in quello che viene descritto come “standard drink” la quantità meglio tollerata dall’uomo e che quindi può dimostrare anche effetti benevoli; tale quantità è inferiore a 30 g/die per l’uomo, con particolare attenzione alla donna dove queste dosi vanno dimezzate, il che equivale a circa due bicchierini di vino o due bicchieri di birra o un bicchierino di superalcolico al giorno e non alla somma di vari tipi diversi di alcolici.

Il progetto Dionysos
Lo studio più accurato sulle abitudini nel consumo d’alcool nella popolazione è rappresentato dal progetto Dionysos. Si tratta di uno studio prospettico sui consumi di alimenti e bevande potenzialmente coinvolte nella eziologia delle malattie del fegato; iniziato nel 1991 ha raggiunto nel 1993 il suo primo obiettivo, lo studio di prevalenza delle malattie croniche del fegato in due paesi, Campogalliano (MO) e Cormòns (GO), considerati rappresentativi della popolazione del Nord-Est d’Italia. Da un anno circa si è conclusa anche la seconda parte del progetto Dionysos, studio di incidenza e di storia naturale delle malattie croniche di fegato nei medesimi due comuni.
Nell’arco dei primi due anni, nel 1991-1993, sono stati esaminati 6917 abitanti dei due comuni, di età compresa tra i 12 e i 65 anni di età, rappresentanti il 70% della popolazione residente (10150 individui). Tutti i soggetti esaminati erano stati informati sulle finalità e le modalità dello studio e si sono sottoposti spontaneamente ad un check-up gratuito che prevedeva: un esame clinico da parte di uno specialista gastroenterologo; una serie di esami ematochimici; la compilazione di un questionario alimentare riguardante in particolare il consumo di bevande alcoliche; l’esposizione ad eventuali fattori di rischio per le epatopatie (sia di origine ambientale che comportamentale) e l’utilizzo di farmaci potenzialmente dannosi per il fegato.
Quando necessario, i soggetti con un quadro clinico che poteva suggerire la presenza di malattie epatiche, sono stati sottoposti ad ulteriori accertamenti (ecografia, analisi di laboratorio, biopsia epatica, ecc.) e, in accordo con il medico curante, sono stati sottoposti ad adeguata terapia.
All’analisi multivariata dei dati, la soglia di alcol che è stata vista determinare un rischio statisticamente significativo per la presenza di cirrosi, epatocarcinoma o epatopatia alcolica non cirrotica è quella di 30 grammi di alcol al giorno (equivalente a poco più di due bicchieri di vino) sia per i maschi che per le femmine. I dati dimostrano chiaramente che la percentuale di soggetti con cirrosi aumenta proporzionalmente con l’aumento della quantità totale di alcol consumata, ma mentre la prevalenza dei bevitori a rischio (che hanno cioè consumato più di 30g/die di alcol) è abbastanza alta (30%), soltanto una piccola percentuale di questi dimostra avere qualche segno di danno epatico (4,6%), percentuale che sale comunque con l’aumentare di alcol consumato. Anche se esiste una correlazione certa tra la quantità di alcool assunta e la malattia di fegato l’esperienza comune rivela che non tutti i forti bevitori presentano segni clinici di danno epatico alcool indotto.
Sono stati condotti molti studi per tentare di identificare un determinante genetico per il danno epatico da alcool. Purtroppo i risultati sono stati poco specifici. Nell’ambito del progetto Dionysos è stato condotto uno studio genetico fra 158 forti bevitori (cioè coloro che assumevano oltre 120 g/die se maschi ed oltre 60 g/die se femmine per almeno 10 anni).
Sono stati indagati i geni per il citocromo P450 e per l’ADH 2 e 3. Sia l’eterozigosi per l’allele C2 del citocromo P450 che l’omozigosi per l’allele ADH3 *2 del ADH3 sono fattori di rischio indipendenti per la malattia cronica alcool indotta. Il contributo relativo di questi genotipi nelle due popolazioni (Cormons e Campogalliano) trova una differente distribuzione vista l’ovvia diversità genetica di popolazione. Sembra però che nei forti bevitori la mancanza di questi due genotipi sia un fattore protettivo dallo sviluppo della malattia cronica di fegato (3.2 volte) e dalla cirrosi.
Più in generale possiamo riassumere che l’età superiore a 45 anni, un elevato consumo di alcol, la presenza di epatopatie nei familiari, e la presenza di una coinfezione da virus dell’epatite B e dell’epatite C rappresentano i più importanti fattori di rischio per lo sviluppo di epatopatie croniche alcool correlate.
Recentemente alcuni inviati dell’OMS nell’ambito del progetto Città Sane hanno intervistato un campione della stessa popolazione di Cormons per trovare che dall’indagine sulla percezione dei cittadini, il 51.1% della popolazione dichiarava di assumere alcol fuori pasto, il 10.5% con frequenza quotidiana e il 10.2% con frequenza settimanale; e in cui il 28.3% dichiarava di conoscere persone alcoliste. Questi dati sembrano però essere contraddetti dal fatto che il 90.6% della popolazione considera l’assunzione di alcol come molto o abbastanza pericolosa per la propria salute fisica e che la consapevolezza di questa pericolosità cresce con l’età (dal 39.7% dei giovani fino a ventiquattro anni, al 48.2% degli intervistati tra i 50 e i 64 anni e il 57.7% degli ultrasessantacinquenni). L’abuso non è quindi giustificato da una scarsa conoscenza delle conseguenze, le cause di tali eccessi vanno ricercate altrove.

Come viene assorbito e metabolizzato l’alcol nel nostro organismo e quali sono i danni che puo’ creare
Il processo di assorbimento dell’alcol avviene principalmente nel tratto prossimale dell’intestino (stomaco e duodeno) in gran parte con meccanismo di diffusione passiva visto il suo basso peso molecolare e l’estrema solubilità in acqua e lipidi, questo assorbimento dipende però da vari fattori quali la quantità e grado alcolico della bevanda ingerita, e il grado di ripienezza gastrica, cioè se il soggetto è a digiuno o meno al momento dell’assunzione. La qualità del cibo è importante al momento dell’assunzione alcolica in quanto cibi più grassi sono in grado di rallentarne l’assorbimento, viceversa l’acqua e il digiuno lo favoriscono. Non è quindi un luogo comune dire “mi sono ubriacato prima, perché non ho mangiato”.
Allo stesso modo anche la velocità di comparsa del picco ematico alcolemico dipende dagli stessi fattori ma anche dall’enzima alcol-deidrogenasi (ADH) maggior responsabile del suo metabolismo epatico che è presente in concentrazioni maggiori nelle cellule gastriche del maschio: ecco spiegata per esempio la maggior sensibilità femminile e di alcune popolazioni (es.giapponese) al danno alcolico. Occorre poi tener conto che esistono numerosi isoenzimi che determinano una diversa velocità di eliminazione e che quindi sono responsabili delle notevoli diversità individuali di eliminazione e tollerabilità alcolica che tutti conosciamo.
Come abbiamo detto l’ADH è responsabile del 95% del metabolismo epatico dell’alcool perlomeno in soggetti sani con un uso alcolico modesto. Questo in realtà cambia nell’alcolista cronico e nel caso ci sia un’intossicazione acuta da alcol. Per lo smaltimento dell’alcool allora deve intervenire anche il sistema microsomiale.
Il prezzo che il nostro organismo paga per questa attivazione è dovuto alla maggior formazione di acetaldeide, metabolita tossico, che questa via di eliminazione comporta. Ovviamente tutto ciò può determinare un danno cellulare e tissutale alcol indotto.
I danni organici più significativi indotti dall’alcool vanno dalla semplice intossicazione acuta, che compare quando l’alcolemia raggiunge i 0.30-0.50 g/L e determina una semplice euforia, maggior loquacità e frequente in coordinazione motoria fino ad una franca disartria (le parole escono in modo distorto dalla bocca !), alla confusione mentale (che subentra con alcolemie attestate intorno al grammo d’alcool per litro) e infine al coma etilico franco con stupore ed arresto cardiocircolatorio (a valori di 3 g/l o superiori).
Gli effetti invece dell’intossicazione acuta o cronica da bevande alcoliche sul fegato sono:
– La lesione acuta per eccellenza è l’epatite acuta alcolica caratterizzata dalla necrosi epatocitaria. Clinicamente non sempre è facile da diagnosticare specie nelle forme anitteriche che si manifesta grossolanamente con dimagrimento, astenia, nausea, vomito dolori addominali e talune volte febbre, ittero e ascite. Spesso emorragie digestive ed encefalopatie epatiche completano il quadro. Obbiettivamente è possibile palpare un fegato ingrandito duro, dolente anche se non sono infrequenti forme asintomatiche o paucisintomatiche in cui la diagnosi viene fatta con biopsia epatica.
– Le lesioni croniche invece trovano nella steatosi epatica cioè nell’accumulo di grassi (specie trigliceridi) nella cellula epatica, la maggior rappresentazione. Dalla prima parte del progetto Dionysos è emerso che una steatosi epatica è presente nel 48% delle persone normopeso ma che bevono più di 60 grammi di alcol al giorno (l’equivalente di una bottiglia di vino) e addirittura nel 94% delle persone obese che bevono la stessa quantità d’alcol o più al giorno.
– Tra le lesioni croniche indotte dall’abuso di bevande alcoliche ci sono poi anche l’epatite cronica alcolica, la cirrosi alcolica e anche il tumore del fegato o epatocarcinoma.

La steatosi epatica o fegato grasso.
Sovrappeso e consumo alcolico sono i maggiori responsabili del “fegato grasso”.
Vino e birra ovviamente sono considerate bevande alcoliche a tutti gli effetti, anche se spesso quando si domanda al paziente “Lei beve alcolici ?”, la prima risposta che ci si sente dare è “No, assolutamente no, bevo solo vino !”, proprio perché nell’immaginario collettivo nazionale il vino e la birra sembrano non essere considerate bevande alcoliche. Occorre quindi sempre indagare anche quanto vino viene consumato.
Clinicamente la steatosi epatica è asintomatica. All’esame obbiettivo è presente epatomegalia con superficie regolare, margine arrotondato liscio di consistenza parenchimatosa. Come è vero che solamente il 10% dei casi di steatosi può portare alla cirrosi è altrettanto vero che il fegato grasso è un fegato che lavora male cioè in condizioni di massimo sforzo (è come se in automobile si viaggiasse sempre con l’acceleratore al massimo). La steatosi è una condizione completamente reversibile a cui si può rimediare con una dieta più appropriata.
Le forme di steatosi che progrediscono vanno in contro dapprima ad una fibrosi nelle zone centrolobulari e negli spazi porto-biliari, quindi nella tipica lesione irreversibile quale è la cirrosi epatica caratterizzata da lesioni epatocitarie, fibrosi diffusa e noduli di rigenerazione epatica. Sfortunatamente tutto ciò è compatibile con una vita normale fino agli stadi più avanzati che si manifestano con quelle che sono le complicanze della malattia cronica di fegato: ascite, emorragie intestinali, ittero, encefalopatia portosistemica e con un aumentato rischio d’insorgenza di epatocarcinoma stimata attorno al 3%. Per ulteriori approfondimenti vai al capitolo fegato grasso.

L’Epatite alcolica 
L’epatite alcolica é una malattia acuta spesso caratterizzata da nausea, vomito, dolori
nella parte superiore destra, e nella parte intermedia dell’addome, febbre, itterizia, ingrossamento e fegato tenero, ed una elevazione del conteggio dei globuli bianchi nel sangue (leucociti). Qualche volta, l’epatite alcolica, può presentarsi senza sintomi. Come con il fegato grasso, il trattamento é essenzialmente di sostegno e di prevenzione.
Ogni malattia ch’é causata dall’abuso di alcol, non può essere reversibile, finché l’assunzione d’alcol non é sospesa. Una volta, che l’epatite alcolica s’é sviluppata, la progressione verso la cirrosi può avvenire sempre, se il consumo di alcol continua.

La Cirrosi alcolica
La cirrosi alcolica colpisce dal 10% al 15% delle persone che consumano grandi quantità
di alcol al di sopra di un prolungato periodo di tempo. Comunque, c’é una considerevole variazione nel grado di suscettibilità delle persone nell’assunzione di quantità alcoliche e ulteriori ricerche sono necessarie, per determinare perché certi individui sono più vulnerabili all’alcol che altri.
Il progetto Dionysos ha dimostrato recentemente che comunque c’è una componente genetica di predisposizione al danno epatico indotto dall’assunzione di grandi quantità di alcol e questo spiegherebbe perché soltanto il 10-15% dei forti bevitori sviluppa la cirrosi alcolica. Se non si smette di bere, la cirrosi alcolica puo’ progredire fino alle complicanze piu’ gravi, tra cui anche il tumore maligno del fegato, o epatocarcinoma.

Diagnosi di abuso

Fare diagnosi di abuso alcolico senza una collaborazione da parte del paziente è una cosa estremamente difficile: la clinica deve venirci incontro.
Esistono però degli indicatori biochimici che fortunatamente ci aiutano in questa impresa i più noti perché utilizzati da molto tempo, sono la gamma-glutamil-transpeptidasi(GGT) che aumenta per fenomeni di induzione enzimatica. Quindi non solo alcol indotta. La GGT può aumentare anche per azione di altri farmaci quali i barbiturici, la rifampicina ect.ma può elevarsi anche in corso di patologie colestatiche e citolitiche.
Nonostante la bassa specificità è di uso piuttosto comune perché di basso costo e consente il monitoraggio di pazienti alcolisti. Infatti la GGT si normalizza a circa un mese dall’astensione alcolica. Altro marcatore può essere l’aumento del volume corpuscolare medio (MCV) dovuto a carenze nutrizionali. Il rapporto tra le due transaminasi (AST/ALT) che tende ad essere di 2:1 è un indicatore migliore delle singole transaminasi.
L’alcolemia vista la rapidità di eliminazione è poco utile come indicatore di uso cronico, viene invece utilizzata di più ai fini medico legali per evidenziare un consumo recente.
Oggi abbiamo a disposizione una tecnica nuova: il dosaggio della transferrina carboidrato deficiente buon marcatore dell’abuso alcolico anche minimo nei mesi precedenti. Un valore inferiore od uguale al 6% è da considerarsi normale. Evidente il significato medico legale di questo test.
Esistono inoltre vari tipi di questionari utilizzati in ambito psichiatrico e non per evidenziare soggetti con vari gradi di disagio nell’ utilizzo alcolico come ad esempio il MAST (Michigan Alcoholism Screening) ed il MALT (Munich Alcoholism test).
La forma migliore per somministrare questi test sembra essere quella autoproposta , a semplice titolo d’esempio riportiamo le domande utilizzate nel progetto Dionysos nella formulazione del CAGE test:
Negli ultimi mesi hai mai pensato di dover bere meno alcoolici?
Negli ultimi mesi ti sei mai svegliato con il desiderio di bere qualcosa di alcoolico?
Negli ultimi mesi qualcuno ti ha mai detto che devi bere meno alcoolici?
Negli ultimi mesi ti sei mai sentito in colpa perché bevevi troppo ?

Conclusioni
Il progetto Dionysos ha evidenziato l’entità delle malattie epatiche alcool correlate ha cioè dato una dimensione del problema quando l’alcool ha già fatto il danno. Diventa importante di conseguenza, come già si fa nell’ambito cardiovascolare e dell’obesità, puntare sulla prevenzione.
Le varie indicazioni alimentari devono anche puntualizzare i concetti di minima dose d’alcool consentita ed i danni epatici anche minimi indotti dall’alcool.
Allora ci chiediamo si può far prevenzione per le malattie epatiche alcol correlate ? La risposta è sì, questo si può fare in modo molto semplice con una buone informazione di base.